10/12/2025

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 30181 del 16 novembre 2025

Con l’ordinanza n. 30181 del 16 novembre 2025, la Corte di cassazione affronta un articolato contenzioso in materia di splafonamento IVA da parte di un esportatore abituale, chiarendo gli effetti del pagamento dell’imposta e della sanzione e ribadendo la tutela del principio di neutralità del tributo.

La società contribuente aveva ricevuto un avviso di accertamento nel 2011 relativo all’anno d’imposta 2006 per un errore nel calcolo del plafond, dovuto al doppio conteggio di una fattura, che aveva comportato l’effettuazione di acquisti senza IVA oltre il limite consentito.

La società aderiva all’accertamento, versando l’imposta accertata e le sanzioni ridotte, per poi chiedere il rimborso dell’IVA versata. A fronte del tacito diniego, si sviluppava il contenzioso.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva il ricorso della contribuente, riconoscendo il diritto al rimborso.

L’Agenzia delle Entrate proponeva così ricorso per cassazione, sostenendo che la CTR avesse erroneamente applicato la disciplina degli acquisti senza IVA tramite plafond, trascurando l’art. 60, comma 7, del D.P.R. 633/1972 nella versione vigente prima delle modifiche apportate dal D.L. 1/2012, disposizione che, in tema di rivalsa successiva, subordinava il diritto del cessionario alla detrazione IVA pagata in sede accertamento dell’esercizio di tale diritto entro il termine della dichiarazione relativa al secondo anno successivo al pagamento.

Secondo l’Ufficio, poiché l’avviso era divenuto definitivo nel 2011, la contribuente non avrebbe potuto esercitare il diritto al rimborso oltre il biennio successivo, con conseguente decadenza.

La Cassazione respinge integralmente questa lettura, ritenendo l’art. 60, comma 7, del tutto estraneo alla fattispecie. Tale disposizione, infatti, disciplina la c.d. “rivalsa successiva”, cioè l’ipotesi in cui, a seguito di un avviso di accertamento emesso nei confronti del cedente/prestatore, questi riaddebiti l’imposta al cessionario/committente, il quale può a sua volta esercitare il diritto alla detrazione entro il termine della dichiarazione relativa al secondo anno successivo al pagamento. Si tratta di una dinamica fondata sul rapporto fornitore-cliente (imposta recuperata dall’Ufficio, rivalsa in fattura, detrazione del cliente), diversa da quella dello splafonamento. In questo caso, non vi è alcuna rivalsa successiva: il soggetto debitore dell’imposta non è il cedente, bensì il cessionario-esportatore abituale, che deve versare l’IVA omessa a causa dell’utilizzo del plafond oltre il limite consentito. La struttura dell’istituto è completamente diversa, poiché il debito IVA nasce direttamente in capo al cessionario, senza alcuna intermediazione del fornitore.

La Corte opera quindi una ricostruzione sistematica dell’art. 8 del D.P.R. 633/1972, distinguendo puntualmente le cessioni all’esportazione di cui alle lettere a) e b), non imponibili per assenza di territorialità, dall’ipotesi di cui alla lettera c), nella quale l’operazione è astrattamente imponibile ma viene resa “non imponibile” solo ai fini dell’esecutività del debito IVA, in funzione del meccanismo del plafond. La scelta del legislatore è chiara: consentire agli esportatori abituali, che per definizione maturano costantemente eccedenze IVA a credito, di effettuare acquisti senza addebito dell’IVA in fattura, entro un limite quantitativo corrispondente alle esportazioni dell’anno precedente (plafond fisso) o dei dodici mesi precedenti (plafond mobile).

In caso di splafonamento, l’esportatore abituale è chiamato a versare l’imposta non assolta. Tuttavia, proprio perché egli diventa debitore diretto dell’IVA, la neutralità del tributo richiede che quella stessa imposta sia detraibile, riportabile o rimborsabile. La Cassazione richiama in proposito sia la propria giurisprudenza (tra cui Cass. 4022/2012; Cass. 15835/2018; Cass. 14979/2020) che quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE 12 luglio 2012, causa C-284/11; CGUE 11 aprile 2013, causa C-138/12), ma anche numerosi interventi di prassi (Circolari 35/E/2013, 23/E/2017, 6/E/2019, 10/E/2019 e risposte ad interpelli n. 129/2019, 339/2019, 510/2021, 569/2022), per ribadire che il diritto alla detrazione non può essere limitato in assenza di un’effettiva frode o abuso. Il principio di neutralità impone che l’IVA non possa gravare sul soggetto passivo che svolge attività economica, e che venga recuperata integralmente anche quando l’imposta è stata pagata a seguito di accertamento.

Di conseguenza, la Corte dichiara infondato il motivo dell’Agenzia delle Entrate e conferma il diritto della contribuente al rimborso dell’IVA versata in eccedenza rispetto al plafond. L’art. 60, comma 7, non trova applicazione perché disciplina una diversa fattispecie relativa alla rivalsa, mentre nel caso di splafonamento il credito IVA nasce fisiologicamente in capo al cessionario, a tutela della neutralità del tributo.

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