1/12/2025

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 30382 del 18 novembre 2025

Con l’ordinanza n. 30382 del 18 novembre 2025, la Sezione tributaria della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul delicato equilibrio tra poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria e tutela della capacità contributiva del contribuente in materia di accertamenti fondati su indagini bancarie. La vicenda trae origine dall’attività di verifica svolta dalla Guardia di finanza nei confronti di una ditta individuale, per l’anno d’imposta 2008, nel corso della quale erano emerse movimentazioni sui conti correnti, sia intestati all’impresa, sia “extra conto”, ritenute non giustificate. Sulla base di tali elementi, l’Ufficio aveva rideterminato il reddito d’impresa in via analitico-induttiva, ai sensi degli artt. 32 e 39, comma 1, lett. c), del D.P.R. 600/1973, contestando maggiori ricavi. La Commissione tributaria provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso della contribuente, annullando solo alcune voci. La Commissione regionale, invece, confermava in larga parte l’avviso di accertamento, valorizzando la presunzione legale di cui all’art. 32 D.P.R. 600/1973 e ritenendo, da un lato, non assolto l’onere di giustificazione delle movimentazioni bancarie e, dall’altro, insussistente la possibilità di riconoscere costi in via forfettaria in presenza di accertamento analitico-induttivo.

Nel ricorso per cassazione la contribuente ha dedotto, con un primo motivo, la violazione dell’art. 32 D.P.R. 600/1973 e dell’art. 51 D.P.R. 633/1972, sostenendo che la CTR ha applicato in maniera eccessivamente rigida la presunzione, negando ogni rilievo alle esigenze di vita personale, soprattutto nel contesto di un’impresa individuale. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 109 TUIR, rilevando che il giudice di merito ha confermato il recupero dei maggiori ricavi senza riconoscere alcun costo, sulla base dell’erroneo presupposto che la deduzione forfettaria dei costi sarebbe ammessa solo nell’accertamento induttivo “puro”, ma non in quello analitico-induttivo fondato su indagini bancarie.

La Corte affronta la questione ricordando che l’art. 32 D.P.R. 600/1973 prevede una presunzione legale relativa: i prelevamenti e i versamenti non contabilizzati che emergono dai conti correnti del contribuente sono considerati ricavi, salvo che egli dimostri di averne tenuto conto nella determinazione del reddito imponibile, ovvero che si tratti di somme estranee all’attività o comunque già risultanti dalle scritture contabili o riconducibili a un soggetto beneficiario specificamente indicato. Si tratta di una presunzione iuris tantum, che alleggerisce l’onere probatorio dell’Amministrazione, ma lascia pur sempre al contribuente la possibilità di fornire prova contraria, anche mediante presunzioni semplici. Nel caso concreto, secondo quanto sostenuto dai giudici di legittimità, la contribuente non avrebbe fornito alcuna prova puntuale circa l’estraneità delle movimentazioni bancarie alla propria attività commerciale, né avrebbe dimostrato che i prelevamenti, nella quasi totalità effettuati in contanti allo sportello, fossero destinati a spese personali o familiari. La generica affermazione che una parte delle somme avrebbe potuto essere utilizzata per le esigenze di vita quotidiana non è ritenuta sufficiente a scalfire la presunzione di cui all’art. 32, né a giustificare una diversa qualificazione delle somme. Il primo motivo viene dunque rigettato.

Ben diverso è l’esito rispetto al secondo motivo, incentrato sulla deduzione dei costi. La Corte rileva come, in un primo momento, la propria giurisprudenza avesse limitato il riconoscimento forfettario dei costi ai soli accertamenti induttivi “puri” ex art. 39, comma 2, D.P.R. 600/1973, escludendolo invece gli accertamenti analitici o analitico-induttivi, per i quali si riteneva che il contribuente dovesse dimostrare l’esistenza di costi specifici con elementi certi e precisi ai sensi dell’art. 109 TUIR. Tale impostazione è stata però rivista alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023, che, in un’ottica di interpretazione costituzionalmente orientata, ha evidenziato l’irragionevolezza di un sistema in cui il contribuente che tiene una contabilità complessivamente si trovi, di fatto, in una posizione più sfavorevole rispetto a chi è assoggettato ad accertamento induttivo puro, per aver omesso la contabilità o tenuto scritture del tutto inattendibili.

Per evitare questa disparità, la Corte costituzionale ha chiarito che, anche nell’accertamento analitico-induttivo fondato su indagini bancarie, il contribuente deve poter opporre una prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale dei costi da sottrarre ai maggiori ricavi presunti. Su questa linea si è poi consolidata la giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 5586/2023, 18653/2023, 12988/2025), che la presente ordinanza richiama espressamente, affermando che ogni accertamento basato su presunzioni deve tener conto dei costi presuntivamente sostenuti per produrre il reddito imputato al contribuente, anche mediante una quantificazione forfettaria, eventualmente supportata da consulenza tecnica.

Applicando tali principi al caso concreto, la Corte ha osservato che la contribuente, già in appello, aveva sollecitato il riconoscimento di un’incidenza percentuale dei costi derivata dagli studi di settore, proprio al fine di adeguare la ricostruzione del reddito al principio di capacità contributiva.

In conclusione, l’ordinanza ha censurato la sentenza impugnata laddove non sono stati riconosciuti in via forfettaria i costi presuntivamente sostenuti per produrre i maggiori ricavi accertati.

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