Con l’ordinanza n. 30569 del 20 novembre 2025, la Corte di Cassazione affronta un tema di notevole rilievo applicativo nel contesto del regime fiscale destinato ai lavoratori impatriati, disciplinato dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015. La controversia riguarda un cittadino extracomunitario trasferitosi in Italia nel 2016, che, nelle proprie dichiarazioni dei redditi, aveva domandato il rimborso delle maggiori imposte trattenute dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, in applicazione del regime agevolativo.
L’Agenzia delle Entrate rimborsava solo le annualità 2018-2020, negando invece il rimborso delle imposte relative agli anni 2016 e 2017, in quanto richieste tramite dichiarazione integrativa tardiva presentata nel 2020. Il contribuente proponeva così istanza di rimborso ex art. 38 D.P.R. 602/1973 e, decorso il termine di 90 giorni, impugnava il silenzio-rifiuto.
La Corte di Giustizia tributaria di primo grado respingeva il ricorso, sostenendo la tardività e la conseguente decadenza; la Corte di Giustizia di secondo grado, invece, accoglieva il gravame, escludendo qualsivoglia decadenza dall’agevolazione.
Investita del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la Cassazione è chiamata a chiarire se la mancata richiesta dell’agevolazione al datore di lavoro e la presentazione della dichiarazione integrativa oltre i termini previsti dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. 322/1998 impediscano al contribuente di ottenere il rimborso dell’agevolazione spettante.
L’Ufficio sostiene che il beneficio fiscale sarebbe attivabile solo tramite una delle due modalità alternative previste dal regime speciale per lavoratori impatriati: la richiesta al datore di lavoro oppure l’esercizio dell’opzione in dichiarazione entro i termini di legge; di conseguenza, la dichiarazione integrativa tardiva del 2020 non avrebbe potuto validamente attivare il regime per le annualità 2016 e 2017.
La Corte rigetta integralmente la tesi erariale, ritenendo corretta la decisione adottata dalla Corte di giustizia tributaria della Lombardia.
In primo luogo, i giudici di legittimità richiamano il proprio orientamento secondo il quale, in assenza di una specifica previsione normativa di decadenza, la mancata attivazione del beneficio tramite il datore di lavoro non preclude al contribuente la possibilità di recuperare l’agevolazione mediante istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 D.P.R. 602/1973.
Tale principio trova conferma in una precedente pronuncia della stessa Sezione (Cass. n. 15234/2025), nella quale è stato chiarito che, prima dell’introduzione del comma 5-ter dell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015 ad opera dell’art. 5, comma 1 lett. d) del D.L. 34/2019, non esisteva alcuna preclusione al rimborso delle maggiori imposte versate.
La Cassazione sottolinea dunque che il divieto di rimborso opera esclusivamente a partire dalle modifiche introdotte dal D.L. 34/2019, convertito in L. 58/2019. Per gli anni precedenti, invece, il contribuente può legittimamente ottenere la restituzione della maggiore imposta trattenuta dal datore di lavoro, anche qualora non abbia esercitato l’opzione in dichiarazione nei termini ordinari. Né può attribuirsi alla dichiarazione integrativa tardiva alcun effetto decadenziale: essa non impedisce il recupero del beneficio, ma determina semplicemente l’impossibilità di attivare l’agevolazione tramite il sostituto d’imposta, imponendo al contribuente la strada del rimborso diretto tramite istanza.
Coerentemente con tale lettura, la Corte ribadisce che la decadenza è istituto di stretta interpretazione e deve derivare da una espressa previsione normativa. In mancanza, l’Amministrazione non può negare il rimborso basandosi su un’asserita tardività dell’opzione o della dichiarazione integrativa. In particolare, la disciplina dell’art. 2, comma 8-bis, D.P.R. 322/1998, che regola i termini di presentazione della dichiarazione integrativa, non contiene alcuna sanzione sostanziale di perdita del beneficio. Essa regola solo i limiti temporali entro cui l’opzione può operare nei confronti del sostituto, ma non preclude la possibilità di ottenere il rimborso.
In assenza di un divieto normativo, e prima dell’introduzione del comma 5-ter dell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, il contribuente conserva, dunque, il diritto di chiedere la restituzione delle maggiori imposte versate, purché dimostri la sussistenza dei requisiti sostanziali per accedere al regime impatriati.
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