10/12/2025

Corte di Cassazione, ordinanza n. 30706 del 21 novembre 2025

Con l’ordinanza n. 30706 del 21 novembre 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che il negozio mancante di uno dei suoi elementi essenziali non viene a giuridica esistenza e non può produrre alcun effetto, con la conseguenza che trova applicazione l’art. 8, comma 1, lett. e), della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 131/1986, che prevede l’imposta di registro in misura fissa, per identità di ratio legis, tra le statuizioni condannatorie che conseguono ad una pronuncia dichiarativa della nullità o costitutiva dell’annullamento o della risoluzione e quelle che accedono alla pronuncia dell’inesistenza e/o dell’inefficacia dell’atto negoziale.

Nel caso di specie, la controversia aveva ad oggetto l’avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva richiesto alla società contribuente il pagamento dell’imposta di registro, liquidata applicando l’aliquota del 3%, ai fini della registrazione della sentenza che aveva condannato la società alla restituzione di somme corrisposte in esecuzione di un patto di opzione ritenuto giuridicamente inesistente in quanto stipulato in assenza dell’elemento essenziale del consenso di una delle parti contraenti.

Con ricorso per Cassazione, l’Agenzia delle Entrate sostiene che, in assenza di una pronuncia di risoluzione del contratto o dichiarativa della nullità o costitutiva di annullamento contrattuale, non può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 8 lett. e), che prevede l’imposta di registro nella misura di euro 168,00, bensì la lett. b) concernente provvedimenti recanti condanna al pagamento di somme, che prevede invece l’imposta di registro al 3%.

La Suprema Corte, richiamando la propria giurisprudenza sul punto, ribadisce che la lett. e) della disposizione tariffaria non può essere interpretata restrittivamente nel senso di ritenere soggette a registro fisso le sole pronunzie di condanna che si pronuncino al tempo stesso sulla nullità, annullamento o risoluzione di un atto.

La ratio dell’interpretazione estensiva sta nell’assenza di trasferimento di ricchezza che connota l’effetto restitutorio dell’indebito conseguente alla declaratoria di nullità, annullamento o risoluzione del contratto, perché, in siffatti casi, la decisione ripristina lo status quo ante dei rispettivi patrimoni delle parti, in quanto le prestazioni adempiute sono prive ab origine di titolo giustificativo, legittimando dunque la ripetizione di quanto corrisposto. Nel caso in esame, l’accordo di cessione del contratto di locazione finanziaria non ha prodotto ab origine alcun effetto giuridico, mancando uno dei suoi elementi essenziali.

Pertanto, afferma la Cassazione, il negozio mancante di uno dei suoi elementi essenziali non viene a giuridica esistenza e non può produrre alcun effetto con la conseguenza che trova applicazione il disposto dell’art. 8, lett. e), TUR per identità di ratio legis e simmetria di causa negoziale in quanto ciò che conta ai fini dell’operatività del regime impositivo in esame è la circostanza che la condanna abbia ad oggetto la restituzione dei vantaggi patrimoniali indebitamente conseguiti da una parte in esecuzione di un accordo nullo o inesistente.

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