Con l’ordinanza n. 31406 del 2 dicembre 2025, la Sezione tributaria della Corte di Cassazione affronta il rapporto tra violazione degli obblighi formali IVA e diritto alla detrazione, alla luce del principio di neutralità e della giurisprudenza della Corte di giustizia.
La vicenda origina da indagini volte a verificare l’origine di numerosi invii di denaro verso la Cina effettuati da un contribuente persona fisica. Dall’analisi dei conti correnti bancari e postali, di cui era titolare o delegato, l’Agenzia delle Entrate ricava elementi tali da ritenere che il contribuente svolgesse, in totale evasione, un’attività d’impresa commerciale, completamente priva di dichiarazioni e di contabilità. Sulla base di tali risultanze, l’Ufficio procede a una ricostruzione induttiva della materia imponibile, emettendo avvisi di accertamento ai fini IRPEF, IRAP e IVA per gli anni 2007, 2008 e 2009.
La CTP di Mantova accoglie solo in parte il ricorso, riconoscendo, in particolare, che i prelevamenti dai conti potevano essere considerati costi deducibili ai fini delle imposte dirette, in diminuzione della base imponibile rideterminata dall’Ufficio in autotutela.
L’Agenzia delle Entrate propone appello principale, limitatamente al profilo IVA, mentre il contribuente propone appello incidentale su altri aspetti della decisione di primo grado. La CTR della Lombardia – sezione staccata di Brescia – riforma la sentenza di primo grado, confermando gli avvisi come modificati in autotutela. Il giudice regionale, da un lato, riconosce che i trasferimenti di denaro verso la Cina rappresentano pagamenti per acquisti di merce e ammette che, in linea di principio, i prelevamenti bancari possono essere considerati costi ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 600/1973, ma solo ai fini delle imposte dirette, laddove il beneficiario sia noto. Dall’altro lato, quanto all’IVA, afferma che il diritto alla detrazione postula necessariamente l’esistenza di fattura, la sua annotazione nei registri e il suo inserimento nelle liquidazioni periodiche: in assenza di qualsiasi adempimento contabile l’IVA sui costi non può essere detratta. Da qui il diniego integrale del diritto alla detrazione e la conferma dell’IVA accertata.
Con il ricorso per cassazione il contribuente denuncia la violazione degli artt. 19, 21, 23 e 25 del D.P.R. 633/1972, in relazione alla direttiva 2006/112/CE, per avere la CTR negato il diritto alla detrazione in presenza di mere violazioni formali, in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA.
La Suprema Corte ricostruisce puntualmente la distinzione, elaborata dalla giurisprudenza unionale (sentenze Idexx, EMS-Bulgaria Transport, Astone, Fortunata Silvia Fontana, CB), tra requisiti sostanziali del diritto a detrazione – riferiti al fatto che gli acquisti siano effettuati da un soggetto passivo, che egli sia debitore dell’IVA relativa e che i beni o servizi siano utilizzati per operazioni imponibili – e requisiti formali, rappresentati dagli obblighi di fatturazione, registrazione e dichiarazione. La violazione di questi ultimi, di regola, non può comportare automaticamente la perdita del diritto a detrazione, salvo l’ipotesi – da accertare caso per caso – in cui essa integri una condotta fraudolenta, con violazione “della maggior parte” degli obblighi formali, ai soli fini di sottrarsi al pagamento dell’imposta.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, si limita a richiamare l’inesatto adempimento degli obblighi di fatturazione e registrazione, senza allegare né dimostrare l’esistenza di una frode qualificata nei termini descritti dalla Corte di giustizia. Allo stesso tempo – sottolinea la Cassazione – l’Amministrazione dispone, proprio grazie all’accertamento induttivo fondato sulle movimentazioni bancarie, di tutte le informazioni necessarie per ricostruire le operazioni imponibili e verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali del diritto alla detrazione. In un contesto del genere, il principio di neutralità impone che il soggetto passivo, pur essendo evasore totale sotto il profilo dichiarativo, non sia gravato in via definitiva dall’IVA, la quale deve continuare a colpire unicamente il consumatore finale.
La Corte richiama, in particolare, la sentenza CB della CGUE, secondo cui, quando l’Amministrazione ricostruisce a posteriori – mediante accertamento induttivo – gli importi versati e percepiti dal contribuente a fronte di operazioni imponibili non fatturate né dichiarate, la base imponibile così determinata deve essere intesa come un prezzo al netto dell’IVA, con la conseguenza che l’imposta, in applicazione del principio di neutralità, non può gravare sul soggetto passivo ma deve poter essere “scorporata” e detratta, ferma restando l’irrogazione di sanzioni proporzionate per la violazione degli obblighi formali. Da ciò discende il principio, che la Cassazione fa proprio, per cui la maggiore materia imponibile ricostruita con accertamento induttivo “puro” nei confronti di un evasore totale deve intendersi comprensiva di IVA e il contribuente deve poter esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta a monte.
Tale diritto, precisa però la Corte, non è privo di limiti: esso sorge quando l’IVA diviene esigibile, ma deve essere esercitato nel rispetto delle scansioni temporali previste dal diritto interno, in particolare del termine biennale di cui all’art. 19 del D.P.R. 633/1972, come interpretato dalle Sezioni Unite (sent. n. 17757/2016). La violazione degli obblighi formali non elimina dunque il diritto alla detrazione, ma può incidere sulle modalità e sui tempi del suo esercizio: se il contribuente non esercita il diritto entro il termine previsto, incorre nella decadenza. Nel caso concreto, la Cassazione rimette al giudice di rinvio l’accertamento in fatto circa l’avvenuto esercizio del diritto di detrazione, con riguardo ai singoli periodi d’imposta e al rispetto del termine biennale.
#IVA #accertamentoinduttivo #dirittodidetrazione