Con la sentenza n. 37939 del 21 novembre 2025, la Corte di cassazione si è pronunciata su un caso di imputazione fittizia di redditi ad un soggetto diverso da colui che li ha percepiti, riconducendo la questione alla fattispecie di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” di cui all'art. 3 del D.lgs. 74/2000.
La vicenda riguardava un’indagine per frode fiscale a carico delle società del gruppo Alfa e dei soggetti Tizio e Caio, rispettivamente amministratore e dirigente di una delle società del gruppo.
Secondo l’accusa, una società del gruppo Alfa avrebbe simulato operazioni con società estere del gruppo, usate come interposte fittizie per spostare all’estero i ricavi delle vendite di autovetture prodotte in Italia, contabilizzando in modo artificioso i flussi finanziari come “futuri aumenti di capitale” per ridurre il reddito imponibile. Per le ragioni esposte, il G.i.p. del Tribunale di Modena ed il Procuratore della Repubblica disponevano un sequestro preventivo ed una perquisizione probatoria nei confronti del gruppo di società. Allorché, la difesa proponeva riesame ai sensi dell’art. 324 c.p.c. ed il Pubblico Ministero proponeva appello cautelare ex art. 322-bis c.p.c.
Sul riesame e sull’appello cautelare si pronunciava con ordinanza il Tribunale di Modena, il quale accoglieva in parte il riesame della difesa, in parte l’appello cautelare del PM, riconfermando il sequestro preventivo ma modificandone l’importo.
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Modena, Tizio e Caio proponevano ricorso in Cassazione, lamentando: la mancata valutazione dei documenti prodotti a dimostrazione dell’operatività reale delle società estere; l’assenza di elementi concreti sulla produzione in Italia e sulla fittizia imputazione dei ricavi all’estero; l’errata quantificazione del profitto, in ragione dell’omissione delle spese operative; l’illegittima attribuzione a Caio di una condotta omissiva per non aver adoperato “poteri di reazione” nei confronti dei reti perpetrati.
La Corte di cassazione ha ritenuto infondate le doglianze sull’omesso esame dei documenti, poiché il Tribunale aveva comunque presupposto l’operatività del gruppo Alfa. La Suprema Corte ha, tuttavia, accolto i motivi relativi alla carente motivazione sul fumus commissi delicti, rilevando l’assenza di elementi concreti da cui poter desumere l’effettuazione in Italia dell’attività produttiva e il successivo trasferimento all’estero dei veicoli prodotti.
Al contempo, la Corte di cassazione ha accolto le censure sull’errata determinazione del profitto per mancata considerazione delle spese operative. Parallelamente, i giudici di legittimità hanno ammesso le censure relative a Caio, ravvisando un difetto di correlazione tra l’accusa, formulata con riguardo ad una condotta commissiva, e l'ordinanza, che ha ravvisato una condotta omissiva, sia la mancata individuazione dell'obbligo di garanzia, presupposto per postulare una responsabilità a titolo omissivo.
La Suprema Corte ha, inoltre, esplicitato la riconducibilità della fattispecie all’art. 3 del D.lgs. 74/2000, stabilendo che non possa venire in rilievo l’ipotesi di abuso del diritto di cui all’ art. 10-bis della L. 212/2000.
In ragione di quanto esposto, la Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata.
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