Norma AIDC n. 219 del 12 maggio 2023

Anche l’Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti (AIDC) si è espressa sull’annoso tema della qualificazione dei crediti di imposta indebitamente utilizzati in compensazione...

Anche l’Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti (AIDC) si è espressa sull’annoso tema della qualificazione dei crediti di imposta indebitamente utilizzati in compensazione, affermando che il credito di imposta non può essere ricondotto nella categoria dei crediti inesistenti qualora il contribuente, pur nell’intento di rispettare il presupposto normativo, abbia commesso un errore di qualificazione o quantificazione dello stesso.

Tale principio, pur in contrasto con la prassi amministrativa (cfr. circolare n. 31/E del 2021), appare pienamente condivisibile oltreché in linea sia con l’impianto normativo vigente in materia che con i più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità.

È noto che, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, l’erronea sussunzione di una spesa tra quelle ammissibili ad un dato credito (tipicamente, il credito di imposta ricerca e sviluppo istituito dal d.l. 145/2013) configurerebbe un'ipotesi di utilizzo di un credito «inesistente» per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo, con la conseguenza che il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando ai fini della violazione sopra richiamata la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale.

Sennonché, come correttamente rilevato dall’AIDC, la definizione di credito inesistente fornita dal terzo periodo del comma 5, art. 13, del d.lgs. n. 471/1997, impone di identificare come inesistente il credito in relazione al quale manchi, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, d.P.R. n. 600/1973, e all'articolo 54-bis, d.P.R. n. 633/1972, con la conseguenza che anche la sola astratta applicabilità di tali disposizioni (esplicitamente richiamate dal menzionato comma 5 dell’art. 13), “laddove il presupposto normativo alla base del credito sia soddisfatto dal contribuente sulla scorta di documentazione attendibile e veritiera, il credito non potrà mai essere definito inesistente”. Perciò, in tutti quei caso in cui “il contribuente abbia errato nel riporto, nella quantificazione ovvero nella qualificazione della fattispecie, la rettifica operata dall'Amministrazione finanziaria dovrà essere ricondotta alla fattispecie del credito non spettante. Viceversa, laddove in sede di controllo si rilevi che è stato indicato un credito in assenza di documentazione o sulla base di documentazione non veritiera, detto credito dovrà essere ascritto alla categoria dell'inesistenza”.

Interessante, poi, il richiamo ai criteri individuati dall’art. 5 del d.l. 146/2021, in materia di riversamento di credito ricerca e sviluppo. Tale disposizione, ad avviso dell’AIDC, “contiene alcune indicazioni che possono assumere … la valenza di principi generali, e, pertanto, in grado di rappresentare un orientamento con riferimento alla problematica qui affrontata”, individuando due diverse fattispecie, una meritevole di accedere alla procedura di riversamento e, l’altra, invece, non meritevole. In particolare, il legislatore ha ritenuto di distinguere le fattispecie in cui il contribuente abbia “effettivamente svolto una attività di ricerca e sviluppo comprovata da documentazione attendibile, ma che abbiano commesso, ad esempio, degli errori interpretativi sulla natura delle spese ovvero di quantificazione del credito di imposta, rispetto alle ipotesi in cui la genesi e l'utilizzo del credito sia avvenuta avvalendosi di documentazione non veritiera, ovvero in assenza di ogni e qualsiasi documentazione”. Ne deriva che “la medesima distinzione” dovrebbe ritenersi applicabile anche ai fini di distinguere dogmaticamente le categorie di crediti inesistenti e non spettante.

Come noto, tale questione, così come quella relativa al termine per il recupero, è state devoluta alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (rispettivamente, con sentenza n. 3784 dell’8 febbraio 2023 e n. 35536 del 2 novembre 2022.

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