Con l’ordinanza n. 19739 del 20 giugno 2022, la Corte di Cassazione ha affermato che la previsione secondo cui ai fini della verifica della percentuale di partecipazione in un fondo di investimento immobiliare si tiene conto delle partecipazioni spettanti ai familiari di cui all’art. 5, comma 5 del Tuir è una presunzione relativa, avente natura antielusiva, che può essere superata dimostrando in concreto che l’intestazione della partecipazione in capo agli altri familiari è reale e non fittizia.
In particolare, il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte traeva origine dall’impugnazione da parte del contribuente titolare di una quota di partecipazione ad un fondo di investimento immobiliare del 2,43% del diniego di rimborso dell'imposta sostitutiva prevista dall'art. 32, comma 4-bis del DL n. 78 del 2010. Difatti, stante la propria partecipazione al 2,43%, il contribuente riteneva l’imposta non dovuta.
A fronte della sentenza di secondo grado favorevole al contribuente, l’Agenzia delle Entrate ricorreva per Cassazione.
La Suprema Corte, richiamando la disciplina in materia, ha osservato come la norma secondo cui si tiene conto delle partecipazioni imputate ad alcuni familiari, deve essere coordinata con quella secondo cui le partecipazioni rilevanti, ai fini della verifica della percentuale che determina il regime tributario, sono quelle detenute direttamente o indirettamente per interposta persona. In altre parole, le partecipazioni intestate al coniuge, ai parenti entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo grado si presumono detenute per interposta persona: presunzione a cui, però, deve essere attribuito valore relativo e non assoluto, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata ai sensi dell'art. 3 e 53 Cost., in quanto, nel nostro ordinamento, il contribuente è la singola persona fisica e non il gruppo familiare, sicché l'aggregazione delle partecipazioni familiari, con aggravio di imposta, si giustifica solo se strumentale a finalità elusive e, cioè, alla disaggregazione soltanto fittizia e non reale di un patrimonio unitario.
Nel caso di specie, dunque, l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto tener conto degli elementi prodotti dal contribuente, da cui emerge l'assenza di una finalità elusiva delle intestazioni delle quote di partecipazione tra i diversi familiari. Alla luce di tali ragioni, i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, condannandola al pagamento delle spese.
La sentenza in commento appare condivisibile in quanto richiama l’attenzione sul fatto che l’applicazione di norme antielusive, laddove determinano un aggravio d’imposta, non può essere indiscriminata, ma deve poggiare sull’esistenza in concreto di comportamenti elusivi da parte del contribuente.
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