Il termine dilatatorio di sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della Legge n. 12 del 2000, la cui violazione determina la nullità dell’accertamento, si applica anche nel caso di contestazione di violazioni in tema di imposta di registro, giusta il richiamo di cui all’art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986, questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 12412/2022.
La decisione dei giudici della Suprema Corte è stata emessa a seguito del riscorso effettuato da una Società contro la sentenza della CTR del Lazio che aveva accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate sollevato avverso la sentenza pronunciata dalla CTP di Roma la quale, a sua volta, aveva accolto il ricorso della Società relativo ad un avviso di liquidazione dell’imposta di registro e contestuale irrogazione delle sanzioni, relativo all’anno di imposta 2009.
Più precisamente, l’avviso di accertamento era stato emesso, successivamente ad una verifica conclusasi con un processo verbale di contestazione (PVC), in ragione della riqualificazione di una serie di operazioni negoziali – conferimento di azienda, cessione di quote sociali e incorporazione – come cessione d’azienda, le quali scontavano l’imposta di registro in misura fissa anziché proporzionale.
Tuttavia, l’AdE ha effettuato la notifica dell’avviso di accertamento prima della decorrenza del termine dilatatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della l. n. 121/2000. Tale disposizione, al fine di garantire un contraddittorio preventivo tra amministrazione e contribuente, prevede che “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Da qui il ricorso della Società avverso la sentenza della CTR del Lazio la quale aveva stabilito che la notifica dell’avviso di accertamento prima della decorrenza del termine di 60 giorni dal PVC non ne comportava la nullità.
La Corte di Cassazione, in accoglimento delle doglianze sollevate dalla ricorrente, ha preliminarmente ricordato che per i tributi c.d. “armonizzati” “l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale” , di converso, per quelli c.d. “non armonizzati”, quale è l’imposta di registro, “non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito”. Successivamente, i Giudici hanno però rilevato come, in forza del rinvio effettuato dall’art. 53-bis TUR, la previsione di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 121/2000 debba trovare applicazione anche per l’imposta di registro.
I Giudici hanno quindi concluso affermando il seguente principio di diritto: “Il termine dilatatorio di sessanta giorni previsto dall’art. 12, comma 7 della Legge n. 12 del 2000, la cui violazione determina la nullità dell’accertamento, si applica anche nel caso di contestazione di violazioni in tema di imposta di registro, giusta il richiamo di cui all’art. 53-bis del d.P.R. n. 131 del 1986”.
Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte appare senza dubbio condivisibile e da accogliere favorevolmente ponendosi nella prospettiva di una maggiore tutela del contribuente. A ben vedere, come ricordato dalla stessa Corte, solo nei tributi c.d. “armonizzati” sussiste un vero e proprio diritto al contradittorio preventivo che discende direttamente dal diritto dell’unione; viceversa, per i tributi c.d. “non armonizzati” il contribuente ha diritto ad un contradditorio preventivo solo se ciò sia previsto da una specifica previsione normativa. La sentenza pronunciata dalla Corte contribuisce, dunque, a mitigare l’incertezza circa l’applicabilità del contradditorio preventivo con riguardo all’imposta di registro.
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