Cassazione, ordinanza n. 5586 del 23 febbraio 2023

la Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di accertamento, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente può sempre...

Con l’ordinanza n. 5586 del 23 febbraio 2023, la Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di accertamento, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare può eccepire l’incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati.

Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte trae origine da due avvisi di accertamento notificati al contribuente, relativi rispettivamente agli anni d'imposta 2007 e 2008, con i quali l’Agenzia delle Entrate determinava un maggior reddito d'impresa imponibile sulla base dell'esame di movimentazioni bancarie relative a conti correnti riferibili allo stesso. Contro gli atti impositivi il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Savona, che lo accoglieva parzialmente.

La Commissione tributaria regionale della Liguria respingeva l'appello del contribuente confermando la decisione impugnata. Riteneva, in particolare, la CTR che il contribuente non avesse fornito elementi idonei a vincere la presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R n. 600 del 1973.

Secondo i giudici di appello, inoltre, non poteva essere riconosciuta una incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi in mancanza di idonea documentazione.

Ebbene, la Suprema Corte, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale 31 gennaio 2023, n. 10, ha rivisto il proprio orientamento e riconosciuto che anche nel caso di un accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) l'Ufficio è tenuto al riconoscimento forfettario di costi deducibili afferenti ai maggiori ricavi o compensi.

In particolare, afferma, la Suprema Corte, “Secondo l'orientamento espresso da questa Corte «In tema di imposte sui redditi, l'Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo "puro" ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l'onere di provare l'esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l'Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario» (da ultimo, Cass. n. 34996 del 2022)”.

Senonché, affermano i giudici di legittimità “tale opzione interpretativa deve essere rivisitata alla luce della pronuncia della Corte costituzionale 31 gennaio 2023, n. 10” ciò in quanto come correttamente rilevato dal Giudice delle Leggi, in caso di accertamento analitico contabile il mancato riconoscimento forfettario di costi relativi ai maggiori ricavi determinati dall’Ufficio sulla base di una contabilità attendibile, sostenere che “ai fini della deduzione dei costi, operi in generale la regola ritraibile dall’art. 109 TUIR, in forza della quale, se gli stessi non sono presenti nel conto economico, possono essere dedotti solo se risultano da elementi certi e precisi, dei quali l'onere della prova è a carico del contribuente” comporterebbe “un trattamento più severo, quanto al regime della possibile prova contraria rispetto alla presunzione legale in esame, in danno del contribuente che ha tenuto una contabilità complessivamente attendibile (e che può essere destinatario di un accertamento analitico-induttivo), rispetto al regime probatorio di cui si avvale chi, destinatario di un accertamento induttivo, ha omesso qualsiasi contabilità ovvero ne ha tenuta una complessivamente inattendibile o ha posto in essere gravi condotte, quale l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi” ne consegue che “il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la «incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati”.

Pertanto, la Suprema Corte ha riconosciuto che “a seguito della richiamata pronuncia della Corte costituzionale, tale principio deve ritenersi estensibile anche al caso di utilizzo del metodo analitico o "misto". In conclusione, sul punto, alla stregua dell'interpretazione adeguatrice fornita dal giudice delle leggi, si rivela dunque errata la decisione impugnata nella parte in cui afferma che non è possibile riconoscere, in mancanza di idonea documentazione, una incidenza percentuale di costi presunti a fronte di maggiori ricavi”.

La decisione della Suprema Corte appare senz’altro condivisibile e coerente con il principio di capacità contributiva che sarebbe altrimenti violato laddove in mancanza di alcuna deduzione di costi si finirebbe per tassare, in parte, una ricchezza inesistente sebbene, come ribadito nella pronuncia della Corte Costituzionale, ogni prelievo tributario debba avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza

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