Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con due ordinanze di analogo tenore, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 2, del D.Lgs. n. 504/1992, come risultante dalle modifiche operate dalla Legge finanziaria del 2007, per contrasto con gli artt. 3, 29, 31 e 53, primo comma, Cost., nella parte in cui, nel subordinare l’esenzione dall’ICI dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, stabilisce che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente”, rendendo così rilevante il requisito della dimora abituale non solo per il contribuente ma anche per i suoi familiari.
La Cassazione, nel rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ricorda come i giudici delle leggi, con la sentenza n. 209 del 2022, hanno dichiarato l’incostituzionalità delle analoghe norme relative alla qualifica di abitazione principale ai fini IMU ex artt. 13, comma 2, del D.L. n. 201/2011 e 1, comma 741, lett. b), della L. n. 160/2019, laddove richiedevano il riscontro dei requisiti di dimora abituale e residenza anagrafica riferiti anche ai familiari del possessore. Tuttavia, i giudici rimettenti ritengono di non poter praticare un’interpretazione costituzionalmente orientata in virtù del principio secondo cui le norme che prevedono agevolazioni fiscali sono di stretta interpretazione.
Ebbene, la Consulta, con la sentenza in commento, ricorda che l’IMU e l’ICI hanno natura di imposta reale e, pertanto, sono del tutto irrilevanti, ai fini del riconoscimento dell’esenzione, i profili soggettivi, come lo status di soggetto coniugato del contribuente. Da ciò discende l’irragionevolezza della disposizione censurata in relazione al principio di uguaglianza e di capacità contributiva in ragione della disparità di trattamento rispetto alla persona singola che gode dell’esenzione per il solo fatto di dimorare abitualmente nell’immobile di cui è possessore, con conseguente violazione anche dei principi posti a tutela della famiglia di cui agli artt. 29 e 31 Cost.
La Corte costituzionale richiama la sentenza n. 209 del 2022 intervenuta in materia di IMU, nella quale è stato evidenziato che la ratio dell’esenzione è quella di “favorire l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione” di cui all’art. 47, comma 2, Cost., laddove il significato di quest’ultimo termine è quello di fare riferimento all’immobile in cui effettivamente si abita.
Inoltre, richiamando la giurisprudenza di legittimità, la Consulta evidenzia che, più specificamente, la ratio della parte di disposizione che fa riferimento ai familiari è quella di impedire che, mediante una fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei due coniugi, il medesimo nucleo familiare goda due volte dei benefici fiscali per l’abitazione principale. Dunque, la disposizione non prende in considerazione il caso in cui i coniugi, indiscussa l’affectio coniugalis, decidano di stabilire residenze disgiunte. Ed infatti, come già osservato dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale in tema IMU, nel contesto attuale, caratterizzato dall’aumento della mobilità per ragioni lavorative, dallo sviluppo della rete di trasporto e tecnologica e dall’evoluzione dei costumi, “è sempre meno rara l'ipotesi che persone unite in matrimonio […] concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell'ambito di una comunione materiale e spirituale”. E questo è proprio quanto è accaduto nei giudizi oggetto di remissione, dove i coniugi dimoravano abitualmente in immobili diversi, per motivi di lavoro o di assistenza ai genitori anziani.
Pertanto, la Corte costituzionale, dichiara l’illegittimità costituzionale della norma censurata affermando, in continuità con la sentenza n. 209 del 2022, che il concetto di abitazione principale assume il significato di luogo in cui il contribuente dimora abitualmente, salvaguardando l’esigenza, da un lato, di attribuire il beneficio a tutti coloro che abbiano adibito l’immobile di cui siano possessori a dimora abituale e, dall’altro, di impedire che il possessore di un’abitazione, ove non vi dimori, possa usufruire dell’esenzione. Ed infatti, nel nostro ordinamento costituzionale non possono esistere misure fiscali che penalizzano coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio. Dunque, la disposizione censurata, disciplinando situazioni omogenee in modo ingiustificatamente diverso, risulta in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. nella parte in cui, nel definire il concetto di abitazione principale, richiede la dimora abituale anche dei familiari, così discriminando il contribuente coniugato non convivente.
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