Con l’ordinanza n. 29036 del 20 ottobre 2021 la Corte di Cassazione ha evidenziato come nel caso di accertamenti parziali l’attività svolta dall’Agenzia delle Entrate non debba essere valutativa, dovendo l’Ufficio limitarsi a contestare le violazioni sostanziali riscontrate.
I giudici di legittimità, pur pronunciandosi in merito all’abrogato istituto dell’adesione ai Pvc, hanno espresso rilevanti considerazioni in merito all’istituto dell’accertamento parziale.
In particolare, la Suprema Corte ha osservato come bisogna sempre tener conto della natura dell'accertamento parziale quale strumento connotato dalla contestazione di un maggior debito di imposta, senza che possa emergere alcuna attività di tipo valutativo da parte dell'Amministrazione Finanziaria, profilo che, invece, attiene all'atto di accertamento ordinario. In questo senso, chiariscono i Giudici “l'amministrazione finanziaria può procedere direttamente all'accertamento parziale, come richiesto dall'art. 5-bis cit. solo qualora dalle attività istruttorie suindicate emerga incontestabilmente una maggiore materia imponibile, senza controllare integralmente l'intera posizione fiscale del contribuente e, dunque, verificare se, eventuali costi indicati, siano effettivi ed inerenti: la ratio dell'accertamento parziale, invero, si rinviene nella esigenza di consentire l'imposizione di una capacità contributiva che emerga ictu oculi”.
Quanto affermato dalla Suprema Corte è senz’altro condivisibile e ci si auspica che tale orientamento possa essere confermato al fine di porre un freno all’utilizzo da parte dell’Amministrazione Finanziaria dell’istituto dell’accertamento parziale, in luogo dell’accertamento ordinario, onde poter reiterare, senza pregiudizio dell'ulteriore attività accertatrice appunto, l’attività di rettifica.
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