Con la sentenza n. 27709 del 22 settembre 2022, la Corte di Cassazione ha affermato che è abusiva la scissione societaria seguita dal trasferimento delle partecipazioni di entrambe le società coinvolte nell’operazione allorquando mediante tale susseguirsi di atti si realizza l’assegnazione dei beni ai soci.
Nella fattispecie oggetto del giudizio, le decisioni rese dalle corti di merito avevano confermato l’elusività delle operazioni realizzate dal contribuente mediante una scissione parziale società con assegnazione di tutti i cespiti immobiliari presenti nel patrimonio della scissa alla società beneficiaria neocostituita, un successivo riacquisto di parte dei detti beni immobili operato dalla società scissa, seguito dalla cessione della partecipazione detenuta nella società beneficiaria neocostituita e della partecipazione detenuta nella scissa in favore degli altri soci. Secondo l’approccio dell’Agenzia delle Entrate, confermato in entrambi i gradi di merito, la realizzazione delle operazioni avrebbe permesso al contribuente di aggirare le disposizioni che disciplinano l’assegnazione dei beni ai soci. Al contrario, a dire del contribuente alcun abuso del diritto sarebbe venuto a realizzarsi atteso che gli immobili in questione non sarebbero in realtà mai stati assegnati al socio, rimanendo perciò in regime d’impresa in quanto assegnati alla società beneficiaria.
La Corte di Cassazione, condividendo l’approccio erariale, ha invece ritenuto l’operazione elusiva, ritenendo dirimente ai fini della propria decisione “l'autonomia del piano fiscale da quello civilistico e la prevalenza della sostanza economica dell'operazione sulla formale denominazione negoziale adottata ai fini della qualificazione giuridica della fattispecie tributaria”. Sulla base di tale principio, i giudici di legittimità hanno ritenuto che “la neutralità della forma della scissione, anche parziale, ai fini fiscali, non esclude dunque che attraverso questa possa essere realizzato un disegno elusivo ai fini dell'art. 37-bis DPR n. 600 del 1973 - dal 2.9.2015 sostituito dall'art. 10-bis L. n. 212 del 2000 ciò che conta è infatti l'esame della logica economica perseguita attraverso le singole operazioni giuridiche poste in essere”, ritenendo che “secondo la medesima linea interpretativa si pone l'articolo 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente”. Pertanto, “se non è evincibile una concreta autonomia delle singole operazioni che giustifichi la loro distinzione giuridica, è necessario fare riferimento al complessivo significato economico dell'operazione posta in essere dal contribuente, e ciò vale anche per la sua identificazione in condotta abusiva o meno”.
Da ciò deriva il principio statuito dagli ermellini, secondo cui «In materia tributaria, l'operazione economica che non trova giustificazione extrafiscale ed è diretta essenzialmente a conseguire un risparmio d'imposta costituisce "condotta abusiva'' e la prova del disegno elusivo incombe Sull'Agenzia delle Entrate, ma questa non si estende alla dimostrazione della necessaria preordinazione ex ante dei compimento di tutti i negozi e i fatti giuridici che realizzano la fattispecie, ben potendo essere dirimente un accordo stipulato tra le parti che ricostruisce il collegamento teleologico tra tutte le singole operazioni, sia anteriori alla sua stipula e sia poste in essere successivamente.»
La decisione della Suprema Corte, benché a dire dei giudici fondata su precedenti della giurisprudenza euro-unitaria (ex multis, CGUE, sentenza 30 maggio 2013, causa C-651/11), appare non condivisibile laddove presume tout court superabili gli effetti giuridici realizzati mediante un assetto negoziale legittimo e coerente con la volontà delle parti in virtù di un’asserita primaria rilevanza dell’effetto economico degli effetti economici derivanti da tale assetto.
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