Ordinanza della Cassazione n. 25942 del 2 settembre 2022

la Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola del contratto di mutuo bancario con cui la società mutuataria si impegna a postergare il rimborso del finanziamento soci rispetto a quello del mutuo oggetto...

Con ordinanza n. 25942/22 la Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola del contratto di mutuo bancario con cui la società mutuataria si impegna a postergare il rimborso del finanziamento soci rispetto a quello del mutuo oggetto di contratto non costituisce né riconoscimento di debito né enunciazione del finanziamento soci.

Nel caso di specie, la sentenza di appello, condividendo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, aveva stabilito che l’impegno assunto da una società mutuataria, direttamente all’interno del contratto di mutuo bancario, di postergare il rimborso del finanziamento ricevuto dai propri soci rispetto a quello ottenuto dalla banca mutuante costituirebbe enunciazione di una ricognizione di debito, ossia di un atto avente natura dichiarativa assoggettabile come tale a tassazione con imposta proporzionale di registro con aliquota dell’1% ai sensi dell’art. 3 della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986.  

La Banca mutuante ha dunque impugnato per cassazione tale sentenza, sulla base di una pluralità di ragioni. Anzitutto, la Banca ha obiettato che non vi può essere alcuna enunciazione poiché non vi è la citazione all’interno del contratto di mutuo di alcun atto scritto e non registrato fra le parti. Per di più, l’enunciazione vi può essere solo allorché l’atto enunciato e quello enunciante siano stati stipulati fra le medesime parti mentre, al contrario, nella presente fattispecie tali atti sono stati stipulati fra soggetti completamente differenti. In secondo luogo, l’impegno assunto dalla società mutuataria non è qualificabile come ricognizione di debito in senso civilistico, poiché non ha affatto finalità ricognitive bensì di mero impegno alla postergazione delle ragioni creditorie dei soci rispetto a quelle della banca e non è neppure indirizzato alla persona del creditore, bensì ad altro soggetto (la banca mutuante, per l’appunto). In terzo luogo, tale impegno – quand’anche fosse ascrivibile alla categoria degli atti ricognitivi di debiti – non ha affatto natura dichiarativa e, come tale, non può essere tassato ai sensi dell’art. 3 della Tariffa, Parte Prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986 (cfr. in tal senso Cass. n. 481/2018)

Con l’ordinanza in oggetto la Corte ha premiato il ragionamento della Banca ricorrente, fissando il principio – finora inedito – secondo cui “una dichiarazione contenuta in un contratto, con cui una parte esponga all’altra di avere un debito verso un terzo non è una dichiarazione di debito e, dato che ai fini dell’applicazione dell’art. 22 occorre che le parti dell’atto enunciante e dell’atto enunciato siano le stesse, una ricognizione di debito non può comportare l’applicazione della norma se non quando detta ricognizione sia contenuta in un atto tra debitore e creditore”.

Il principio di diritto è senz’altro condivisibile, costituendo un chiaro corollario delle disposizioni recate dall’art. 22 del D.P.R. n. 131/1986 quello secondo cui una clausola che menziona un rapporto di finanziamento con soggetti terzi rispetto alle parti contrattuali non può costituire enunciazione del rapporto medesimo, e consente di dirimere taluni dubbi sorti nella prassi degli uffici impositori sul trattamento fiscale da riservare alle clausole di precedenza dei rimborsi contenute nei contratti bancari di finanziamento.

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