Con l’ordinanza n. 14102 del 21 maggio 2024, la Suprema Corte di cassazione ha definito il perimetro delle cautele richieste ad un cessionario per escludere il suo coinvolgimento nell’ambito di una frode IVA consumata a monte della catena produttiva o distributiva.
La vicenda trae origine dall’impugnazione di una sentenza di appello avente ad oggetto un avviso di accertamento per mezzo del quale veniva recuperata l’IVA a seguito della contestazione di acquisti ascrivibili ad operazioni soggettivamente inesistenti intercorse con un fornitore, esercente attività d’impresa e ritenuto privo di organizzazione.
In particolare, il giudice di appello ha considerato soggettivamente inesistenti le fatture di acquisto stante l’assenza di adeguata manodopera da parte del fornitore e la falsità delle fatture di acquisto degli strumenti di produzione, ritenendo in proposito non decisivi gli elementi di prova addotti dal contribuente, atteso che costui non avrebbe verificato se la persona fisica che prelevava la materia prima da lavorare fosse un reale mandatario o il legale rappresentante del fornitore.
In proposito, la Suprema Corte di cassazione, nel richiamare altresì la giurisprudenza unionale più rilevante sul punto, ha stabilito che “la diligenza dovuta dal soggetto passivo e le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che, con il suo acquisto, non possa essere consapevole di un'evasione IVA commessa da un operatore a monte dipendono dalle circostanze del caso di specie e, in particolare, dalla questione se esistano o meno indizi che consentano al soggetto passivo, al momento dell'acquisto da lui effettuato, di sospettare l'esistenza di irregolarità o di una frode (CGUE, 1 gennaio 2024, Global Ink Trade, C-537/22, punto 39). Tuttavia, non si può esigere dal contribuente che esso proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l'amministrazione tributaria ha i mezzi per effettuare (CGUE, 1o dicembre 2022, Aquila Part Prod Com, C-512/21, punto 52, CGUE, 9 gennaio 2023, A.T.S. 2003, C-289/22, punto 70)”.
In considerazione del fatto che il giudice di appello ha valorizzato elementi indiziari unicamente ascrivibili alla struttura organizzativa del cedente e che ad una più approfondita analisi della stessa il contribuente non vi avrebbe potuto procedere con gli stessi strumenti di indagine di cui possono disporre gli uffici finanziari, la Suprema Corte ha ribadito il seguente principio di diritto: “ai fini dell'assolvimento dell'onere della prova della conoscenza o conoscibilità, secondo la massima diligenza esigibile da un accorto operatore professionale, dell'esistenza di una frode IVA consumata a monte della catena produttiva o distributiva, le cautele che si richiede che il cessionario sia tenuto ragionevolmente ad adottare, perché si escluda il suo coinvolgimento, anche solo per colpevole ignoranza, nella frode commessa a monte, non possono attingere a verifiche complesse e approfondite, analoghe a quelle che l'amministrazione finanziaria avrebbe i mezzi per effettuare”.
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