21/2/2022

Ordinanza della Corte di Cassazione n. 5059 del 16 febbraio 2022

Con l’Ordinanza n. 5059 del 16 febbraio 2022 la Corte di Cassazione ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria, laddove intenda escludere il diritto alla detrazione per operazioni soggettivamente inesistenti, deve provare che il cessionario sapeva o avrebbe potuto sapere che l’operazione rientrava nell’ambito di una frode ai fini Iva, non essendo sufficiente a tal proposito l’accertamento della mancanza di una sede operativa adeguata allo svolgimento dell'attività commerciale e l’omissione della tenuta della contabilità da parte della società cedente.

In particolare, ripercorrendo la propria giurisprudenza, la Suprema Corte ha ricordato come in tema di IVA l'amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del cessionario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta. In altre parole, è onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza, della sostanziale inesistenza del contraente. Se tale onere probatorio viene assolto, il contribuente può fornire la prova contraria di aver agito con la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.

Tanto premesso, nel caso di specie la Corte di Cassazione ha osservato come l’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento si è limitata a valorizzare esclusivamente che la società cedente non aveva mai avuto una sede operativa adeguata allo svolgimento dell'attività asseritamente svolta, né tenuto regolare contabilità. Tali circostanze, sono da sole inidonee a dimostrare la conoscibilità per il contribuente della natura fittizia delle operazioni. Per tali ragioni, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato respinto.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, conferma quanto già affermato in passato (sentenza n. 25013/2019), così adeguandosi alla rigorosa giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea secondo cui “le disposizioni della sesta direttiva devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui al procedimento principale, che neghi ad un soggetto passivo il diritto di detrarre l’IVA dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti sulla base dei rilievi che la fattura è stata emessa da un soggetto che deve essere considerato, con riferimento ai criteri previsti da tale normativa, un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal soggetto passivo verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’IVA, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” (causa C 277/14).  

# Cassazione # Iva # detrazione

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