Con la sentenza n. 18124 del 6 giugno 2022, la Corte di Cassazione ha affermato che l’esdebitazione del debitore fallito, di cui agli artt. 142 e 143 del RD 267/42, trova applicazione anche ai debiti IVA, poiché non contrasta con l’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell'imposta sul valore aggiunto nel loro territorio nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell'Unione.
In particolare, il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte traeva origine dall’impugnazione da parte dell’Agenzia delle Entrate della sentenza di secondo grado che dichiarava l'illegittimità della cartella di pagamento con cui era stato chiesto il versamento di somme a titolo di IVA nei confronti del contribuente che aveva ottenuto un decreto di esdebitazione in forza del quale era stato liberato dal complesso dei debiti residui.
La Suprema Corte, confermando l’operato del giudice di secondo grado, ha ricordato come secondo la giurisprudenza europea la normativa in materia di IVA non osta alla declaratoria di inesigibilità dei debiti IVA correlata all'applicazione della normativa interna sull'esdebitazione del fallito persona fisica per un duplice ordine di ragioni.
Anzitutto, la concessione del beneficio ex art. 142 RD 267/1942 è sottoposta a condizioni rigorose, quali la “buona condotta” del debitore e la soddisfazione, almeno in parte, dei creditori concorsuali. Dunque, il rigore delle condizioni che contrassegnano la procedura di esdebitazione ex art. 142 RD 267/1942 assume valenza decisiva, atteso che i requisiti e presupposti contemplati dalla norma sono suscettibili di offrire garanzie per quanto riguarda la riscossione dei credi IVA, senza che, per il tramite dell'istituto, si addivenga ad una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione del tributo.
In secondo luogo, la Suprema Corte ha ricordato come l'esdebitazione risponda proprio alla rilevante esigenza, avvertita in misura crescente in ambito unionale, di consentire al debitore, svincolato dai debiti pregressi (c.d. discharge), di ripartire e riproporsi nella società (c.d. fresh restart), senza dover scontare vita natural durante un'insormontabile limitazione nel reinserimento nel circuito sociale ed economico in ragione di debiti rimasti insoluti.
Alla luce di tali ragioni, i giudici di legittimità hanno enunciato il principio per cui “In tema di fallimento, l'esdebitazione del fallito di cui agli artt. 142 e 143 L. fall. è applicabile anche ai debiti IVA, non contrastando con l'art. 4, par. 3, TUE e con gli artt. 2 e 22 della Direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977 (cd. "Sesta Direttiva"), in materia di sistema comune di imposta sul valore aggiunto”.
La sentenza in commento appare condivisibile alla luce della copiosa giurisprudenza europea sul tema. D’altronde anche l’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 16/2018, allineandosi ai principi enunciati nelle sentenze della CGUE, si era già espressa a favore della possibilità per i contribuenti di ottenere il provvedimento di esdebitazione anche in presenza di debiti IVA non integralmente soddisfatti.
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